Accettazione di sè

E’ da un po’ di tempo che questo concetto si propone nella mia vita, cosa significa accettare veramente se stessi? Sembra che ci sia una sorta di ossessione verso il miglioramento delle performance, l’apprendimento di nuove conoscenze, il superameno dei propri limiti e dei propri difetti. Il mondo ci spinge alla competizione continua e alla ricerca del successo, qualsiasi cosa esso sia.

Ma quand’è che posso  fare pace con il mondo e con me stessa?

Da quando seguo il filone della crescita personale, vedo sempre più un incitamento al migliorarsi, al diventare la versione migliori di noi stessi. Ma che vuoi dire questa cosa? A me rimanda il fatto che quello che sono adesso non è abbastanza e che quindi, devo impegnarmi per cambiarlo e raggiungere la mia me ideale per poter realizzare tutti i miei obiettivi e desideri.

Questa visione non mi appartiene più.

Il continuo confrontarmi con gli altri, il cercare di competere con gli altri, di migliorarmi continuamente per essere come gli altri, per soddisfare le aspettative altrui,  per sentirmi amata e accettata non funziona, non ha mai funzionata. Questa tendenza torna, ma la osservo e so che posso lasciarla andare.

Esplorandola da vicino mi sono resa conto che nasce dal passato, dall’ambiente che ho frequentato durante la mia infanzia e adolescenza. Mi sono chiesa perché il tema della competizione mi creasse sempre un certo disagio in tutti gli ambiti della mia vita. Fin da piccola mi chiedevo perché ci fosse questa spinta alla competizione da parte degli adulti, questa necessità di etichettare i bambini in bambini bravi e meno bravi.

L’etichetta di bravo o meno bravo crea molta solitudine, che tu sia in cima alla piramide o in fondo alla piramide sei comunque solo. Mi ricordo che quando mi elogiavano per i miei successi mi sentivo in imbarazzo, perché gli altri si stavano creando un’immagine di me e questa immagina di bambina brava, silenziosa che non dava mai problemi mi creava molto disagio, ma allora non ne ero consapevole.

Credo che un bambino vada guidato anche quando gli si fa un complimento. Perché dietro quel sei bravo, cosa c’è? Può anche essere interpretato che io valgo solo quando faccio bene le cose, mentre quando non corrispondo più alle aspettative allora non valgo nulla. Molti di noi sono cresciuti con questa credenza. E’ importante quindi spiegare ai bambini come gioire dei propri traguardi e come affrontare i propri fallimenti, evitando di usare solo l’etichetta di bravo e cattivo.

Si dice che noi abbiamo più paura della nostra luce che di tutti i nostri difetti. Questo perché mostrare la nostra luce ci costa fatica e impegno e ci fa molta paura perché vuol dire anche abbandonare le nostre certezze e abitudini. Credo che per far emergere questa luce, serva avere intorno anche l’ambiente adatto. Il nostro sistema basato su un incitamento continuo alla competizione, al raggiungimento degli obiettivi ad ogni costo, non contribuisce alla nostra felicità e realizzazione. Per scoprire i propri talenti, i propri valori, per far risplendere la propria luce bisogna partire da se stessi, sarebbe sicuramente più facile se tutto questo processo fosse anche supportato da un ambiente dove fosse incentivata la naturale propensione alla collaborazione degli individui e dove i bambini fossero accompagnati ad esplorare la loro unicità.

Accettare se stessi, accettare il punto dove siamo, anche se la situazione che stiamo vivendo non ci piace è ciò che serve per iniziare il viaggio verso una vita più consapevole e più vicina alla felicità.

Anche se a livello concettuale questa cosa è facile da capire, viverla veramente non è facile per niente.

Anche se penso di aver capito il concetto, a livello inconscio, avviene tutto il contrario. I pensieri negativi continuano ad esserci, l’emozione di tristezza e frustrazione per non fare mai abbastanza rimane, il perfezionismo torna. Ed ecco un altro pensiero negativo che ti dice che quello che hai fatto finora non serve a nulla, tanto tu non potrai mai cambiare, perché la mente è più forte. Quando succede questo, mi ricordo che non siamo solo la nostra mente, siamo molto altro, il nostro “ego” è piccolo in realtà e possiamo anche non ascoltarlo.

Questo è il passetto in più che ho fatto in questi ultimi anni. Ho vissuto una vita intera, totalmente governata dalla mia mente, i miei pensieri positivi o negativi hanno condizionato tutti i miei rapporti, le mie emozioni, le mie azioni, e rimaneva la credenza che fosse in fondo colpa mia, che avessi un difetto di fabbrica perché non riuscivo a sentimi mai veramente bene e felice, nonostante i risultati raggiunti, nonostante tutto l’amore ricevuto, nonostante tutte le belle cose che possedevo. Ora so, almeno a livello conscio che non sono sbagliata, sono come sono, una donna che sta cercando il suo posto nel mondo. Continuo quindi a esplorare, osservarmi e ascoltare il mio cuore.

Quando stiamo male, siamo confusi, la tentazione di chiedere agli altri è molto grande, cerchiamo all’esterno negli altri la risposta ai nostri problemi o tentiamo di risolvere il problema a livello mentale.

L’inghippo è che non è possibile. La stessa mente che ha creato il problema non può risolverlo, è una frase attribuita ad Einstein. Per me significa che da una parte è necessario cambiare il proprio pensiero per approcciarsi in modo diverso alle cose che non vanno e ci creano sofferenza, ma che ciò che ci può aiutare veramente è entrare in contatto con qualcos’altro che va oltre la nostra mente.

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